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sabato 16 febbraio 2013

I segreti di Gankaku


Dopo la lezione di venerdì scorso in palestra, incentrata su kata e bunkai di Gankaku, ecco un interessante articolo tratto dalla rubrica “Engi bunkai dello stile Shotokan” sull’ultimo numero della rivista trimestrale Karate Do (28/2012), dedicata proprio a questo particolare kata.

Foto di Daniele Fregonese

Il nome del kata si compone di due ideogrammi cinesi che rappresentano le rocce e una gru, in giapponese rispettivamente “gan” e “kaku”. L’immagine evocata è quella di una gru immobile sulla cima di una roccia, ferma su una sola zampa, mentre osserva il suo avversario al quale si oppone solo con l’aura di superiorità che essa emana (nel taoismo la gru è simbolo d’immortalità e saggezza). Corpo e spirito restano perfettamente saldi aspettando che l’avversario si scoraggi, a quel punto l’attacco viene effettuato di sorpresa e all’improvviso.
E’ considerato un kata molto antico e il nome originale di Okinawa era Chinto, pare derivato da un marinaio cinese naufragato nelle isole Ryukyu circa 200 anni fa e lì fermatosi a insegnare. Il termine Chinto può essere tradotto come “combattere contro l’est”, oppure “dove sorge il sole”. Si dice che sia stato tramandato da Bushi Matsumura, che sviluppò le tecniche del cinese integrandole con quelle dello stile della gru, oppure che lo abbia imparato direttamente nella forma attuale (la tipica posizione “kamae” del Gankaku è identica alla posizione della gru dello stile Shaolin).
La prima traccia di questo kata è presente a Tomari, poi modificato dai Maestri Kiyatake e Itosu, per giungere all’ultima versione del 1922 del Maestro Funakoshi. Egli ne modificò il nome in Gankaku, non solo per presentarlo in lingua giapponese, ma anche per rimuovere le connotazioni della battaglia che il nome Chinto portava con sé. In quel periodo cambiò anche alcune delle tecniche e l’Embusen per renderlo più somigliante agli altri stili Shotokan e conforme ai suoi nuovi. E’ praticato negli stili Shotokan e Shito-Ryu.
Gankaku è un kata interessante e difficile da imparare, è dinamico e composto da tecniche uniche, con mutevoli posizioni alte e basse. I movimenti sono leggeri e scattanti, ma anche lunghi e controllati. Nello Shotokan l’azione principale è quella di stare in equilibrio su un piede ed è proprio questa la sua peculiarità. Il suo stile è esigente, con movimenti veloci e alterni, ma in sequenza fluida, in contrapposizione al riposo totale della posizione statica, ricercando il rilassamento mentale, per una sorta di “ipnosi” dell’avversario.
Questa posizione su una sola gamba, che oltre all’equilibrio richiede buona concentrazione, veniva effettuata in origine con la pianta del piede contro l’interno del ginocchio, mentre nella versione Shotokan si effettua con il collo del piede nel cavo del ginocchio.
Il bunkai descrive generalmente questo kata come utile sui terreni irregolari e collinari.


giovedì 11 ottobre 2012

Bushido

La cultura dei samurai, che incorpora elementi di taoismo, confucianesimo, buddhismo e shintoismo, oltre alle arti marziali e alla scienza militare, essenziali per la professione originaria, assunse il nome di budo, la Via del guerriero; shido, la Via del cavaliere, e infine bushido, la Via del guerriero-cavaliere.

[da Introduzione de "La mente del samurai, Il Codice del Bushido", a cura di Thomas Cleary]

Yin e Yang

L'addestramento militare è yang, molto attivo. Il momento che precede la battaglia è l'apice dello yin, calmo e tranquillo.
Se sei veramente calmo alla vigilia della battaglia, anche l'espressione del tuo viso non cambia. Non fissare l'avversario, non guardare negli occhi il nemico. Non avanzare come se attraversassi un ponte stretto, ma come se camminassi su una strada ampia.
Chi mantiene uno stato mentale normale è un avversario yin. Questa è una tecnica superiore, alla quale è difficile opporsi.
Per quanto riguarda gli avversari yang, uno ha sul viso un'espressione di forza dirompente, un altro incarna la rabbia, il terzo cerca di annientare l'avversario con lo sguardo, il quarto si avventa come una furia e colpisce lanciando alte grida, il quinto si muove avanti e indietro con foga. Questi sono chiamati avversari yang. Le menti di questo tipo di avversari sono mobili, e questo li rende vulnerabili. Tuttavia, un avversario yin può diventare yang per tattica, quindi devi sempre stare attento.

L'atteggiamento mentale

Anche se in ogni scuola ci sono diverse posture, come la guardia alta, media e bassa, l'atteggiamento è un atto mentale. L'atteggiamento è quando sei determinato e sicuro nell'affrontare un avversario.
La postura fisica e la posizione della spada hanno un valore relativo; se agisci sul momento, senza alcunchè di prestabilito, sulla base delle azioni dell'avversario, la posizione della spada non è fondamentale.
Qualsiasi tipo di atteggiamento o postura adotti, la tua mente deve essere senza forma.

[Insegnamenti di Adachi Masahiro (attivo tra il 1780 e il 1800) - era un artista marziale e uno scienziato militare. Fondò un ramo della scuola di arti marziali del "Guerriero divino" di Kyoto. I suoi scritti dedicano molta attenzione alle condizioni psicologiche e ai loro effetti in battaglia - tratto da "La mente dei samurai, Il Codice del Bushido", a cura di Thomas Cleary (pag. 211, 214, 215)]



lunedì 11 maggio 2009

Il Saluto

1) Seizà: A questo comando, tutti i presenti, dal grado più alto a quello
più basso, uno ad uno, si siedono in posizione di Seizà iniziando dal grado
più alto al più basso;

2) Dojo Kun: In alcune palestre il Dojo Kun si recita soltanto nel
saluto finale.

3) Mokuso: Dalla posizione di Seizà è possibile la pratica della
meditazione (Mokuso) o del silenzio interiore.
Serve a ritrovarsi, quando inizia la lezione spesso portiamo in noi ancora
gli stati emotivi "esterni", attraverso Mokuso la mente entra in sintonia
con il corpo, si prepara alla ricerca interiore, "Pulisce" la mente
portandola ad un livello molto alto di consapevolezza e pronta alla pratica
di ricerca. uno dei momenti di questa cerimonia si esprime nell'immobilità
fisica e nel silenzio, ascoltando il proprio pulsare si rilassa la mente e il
corpo non dimentichi della posizione di Yoi!.

4) Mokuso Yamè: Fine della pratica di Mokuso.

5) Shomen Ni Rei: Il saluto allo Shomen, ossia il Kamiza , la sede
superiore della palestra, ed esprime la riconoscenza dei praticanti verso il
Karate, verso il fondatore della scuola e i maestri formatori che si sono
succeduti nella storia di quest'arte. Il suo significato poggia sul principio
filosofico che l'uomo debba rivolgersi a qualcosa di più grande ed
importante di lui prima di dedicarsi alle cose di tutti i giorni.

6) Senpai Ni Rei: E il saluto all'allievo più anziano nel caso sostituisse il
Maestro durante la lezione

7) Shihan Ni Rei. è l’inchino al maestro superiore, altamente onorato.
“Shihan” (o hanshi) richiama infatti il maestro di 9° o 10° dan, esterno
dalla gerarchia della scuola, che insegna nel dojo solo in rare circostanze.
( anche se viene eseguito in rare circostanze bisogna tenerne conto)

8) Sensei Ni Rei. Il saluto al Maestro (Sensei). Sen Sei, in giapponese, significa Nato Prima.

9) Otagai Ni Rei: Il saluto reciproco tra tutti i praticanti che simboleggia
l'unità, l'uguaglianza ed esprime il rispetto che si deve al prossimo.
Nella parte finale del saluto si torna alla posizione eretta, con intenzione
ed energia. Il Maestro si alza ed all'ordine "Kiritsu" è seguito dagli allievi
che eseguono all'inverso il rituale col quale ci si è seduti.

mercoledì 29 aprile 2009

OSS

Nella pratica del Karate-Dō, ed in particolar modo nelle scuole di stile Shotokan, il saluto e spesso accompagnato dalla parola Oss, che si pronuncia in questo modo ma si scrive Osu.

Il termine Oss può essere usato in circostanze differenti e assumere significati diversi: dal saluto, al grazie, dal voler richiamare l'attenzione di qualcuno, ad indicare di aver compreso la spiegazione del Maestro, dall'esprimere un'approvazione, al voler manifestare la propria stima verso una persona.

Il termine Oss è comparso per la prima volta all'inizio del ventesimo secolo negli ambienti militari e più precisamente veniva utilizzato dagli ufficiali della marina imperiale giapponese, con ogni probabilità potrebbe venir tradotto come il nostro: sissignore, signorsì o come un termine accondiscendente.

Solo successivamente divenne di uso comune tra gli allievi di Karate-Dō che, probabilmente, facendo ritorno da campagne e addestramenti militari introdussero questo termine nella pratica del Karate-Do.

Oss non e un termine usato nella lingua giapponese corrente e pertanto vi sconsiglio dei usarlo dialogando con qualche turista, non capirebbe. E' una locuzione "nostra".

La teoria più accreditata sul significato del termine Oss lo definisce come una contrazione dei termini "Oshi Shinobu", che scritti in Kanji contengono gli stessi ideogrammi usati per scrivere Oss e di conseguenza lo stesso significato intrinseco.

Sposando questa teoria Oss viene scritto con il primo ideogramma del termine Oshi ed il primo del termine Shinobu, in questo modo:
押 (O) - 忍 (Su)
Il primo Kanji che raffigura O significa premere, spingere, sollevare sopra la testa, indicando uno sforzo massimo, quasi insostenibile, ai limiti della propria sopportazione.
Il secondo ideogramma, Su, significa resistere, perseverare tenacemente, soffrire silenziosamente.

Oss, quindi, significa resistere spingendosi al limite, perseverare nello sforzo massimo, soffrire sopportando l'insopportabile. Di più ancora implica una compiacenza nello spingersi ai limiti della propria resistenza psicofisica, perseverando sotto qualunque tipo di pressione.

Questa resistenza del carattere e dello spirito, viene sviluppata con un allenamento duro, esigente ed instancabile, ed e conosciuta come "Osu No Seishin", lo spirito di Oss.
L'ideogramma rappresentante il suffisso Su inoltre è composto di due radici che significano lama e cuore. La concezione di questo significato per i giapponesi si esprime con il rimanere impassibili e in silenzio anche se il cuore viene trafitto da una lama. ( seppukku?)

Oss pertanto non va interpretato come termine di sottomissione ma di accettazione di quanto mostrato e detto da chi ha più vissuto e sperimentato da chi sicuramente ha la nostra fiducia incondizionata in quanto portatore di esperienza.

Oss e sempre e comunque: hai ragione, ci sono, giusto ecc. E' una locuzione difficile da capire per chi non fa Karate-Dō.
Oss è Oss e basta si fa quello che viene detto, si esegue quello che viene richiesto senza discutere alle volte senza comprendere, ci si accorge in seguito del valore e dello spirito di Oss.

Chi manifesta l'uso del termine Oss, in ogni pensiero, in ogni azione, può considerarsi pronto a conformarsi allo spirito di Oss, anche nella vita di tutti i giorni al di fuori del Dojo. Solo cosi e possibile cercare di comprendere il significato piu profondo di Oss, che racchiude in se due opposti, l'aspirazione e la pazienza, che tuttavia fusi tra loro portano ad una vera condotta marziale, alla ricerca del Do”.
Oss

venerdì 3 aprile 2009

TOKON - spirito di lotta - spirito di combattimento -


Ciao,
voglio condividere con voi un mio pensiero e sapere cosa ne pensate.

Il Maestro Kase disse che quando si esce di casa bisogna avere lo spirito come se 1000 nemici ci stessero aspettando, mentre il Maestro Shirai, riferendosi alla pratica del Goshin-Do, disse che quando non si dorme, quindi per tutto il resto del giorno, bisogna pensare alla difesa personale.

Questi due pensieri, di primo impatto, mi hanno fatto pensare ad un esistenza triste, tesa, sempre “sul chi va là”… e li ho accantonati.

Poco tempo fa mentre sistemavo mia figlia sul seggiolino porta bimbi della mia auto (è un’auto a tre porte ed è veramente scomodissimo sistemare la bambina) ho pensato “messo così se arriva un malintenzionato può darmi una portierata rubarmi la macchina e portarsi via la bambina che nemmeno me ne rendo conto….”.

Subito mi è venuto in mente quanto detto dai Maestri e l’ho associato all’atteggiamento che un praticante di Karate dovrebbe avere anche al di fuori del Do-Jo, quindi allo Zanshin. ZAN - mantenere, rimanere, oppure lasciare SHIN - spirito, mente, ma anche cuore "mantenere uno spirito di vigile allerta".

Oss!!!

venerdì 27 febbraio 2009

SHU HA RI


SHU HA RI è il termine giapponese con cui si definisce il rapporto tra allievo e maestro.

SHU (obbedire - proteggere) è il rapporto che ha l’allievo verso il maestro nei primi anni di pratica, è assimilabile al rapporto tra un padre e il figlio sino all’età dell’adolescenza. L’allievo assorbe tutto quello che gli insegna il maestro, non discute su nulla … possiamo dire “pende dalle sue labbra”. Il Maestro guida l’allievo come un padre che cresce il figlio, segue e incoraggia i suoi progressi. E’ in questa fase che vengono gettate le solide basi per il futuro.
HA (rottura - frustrare) è il cambiamento che avviene, indicativamente, quando l’allievo arriva al 1° DAN, vuole cominciare a uscire dagli schemi e dare personalità alla propria pratica. In questa fase l’allievo mette in discussione il proprio Maestro. Per il Maestro comincia un periodo di “frustrazione”, l’allievo comincia le suo domande con “Perché?…”. A questo livello il Maestro è “Il Maestro di un arte” ma l’allievo comincia a essere l’istruttore di qualcuno .

RI è il momento in cui l’allievo è salito di grado, una cintura nera di alto livello. Arrivati a questo punto l’allievo vuole avere la sua scuola, insegnare il suo Karate, il Karate visto con i suoi occhi, con la sua personalità. L’allievo continua a crescere ma grazie alla sua curiosità e all’auto scoperta, alla sperimentazione.

SHU HA RI non è un processo lineare, è assimilabile a una serie di cerchi concentrici. Esiste SHU che contiene HA, e SHU HA che contengono RI.
Se l’allievo non sorpasserà mai il suo Maestro, alla meglio l’arte stagnerà. Se l’allievo non arriverà almeno al livello del Maestro, l’arte si deteriorerà. Ma se l’allievo riuscirà ad assimilare tutto il sapere del Maestro e migliorare, quindi aggiungere, l’arte continuerà a crescere e progredire.
Quanto scritto è stato da me tradotto da un testo in inglese, ma l’idea di postare questo argomento nasce da un articolo che ho letto tempo fa su Samurai scritto da Sergio Roedner. In ogni modo credo che chiunque pratichi viva, in base al proprio livello e al tempo di pratica, questa esperienza.

giovedì 19 febbraio 2009

Due ruote di un carro

Con riferimento al post scritto da Fabrizio, pubblico un passaggio del libro "Karate do Nyumon", scritto da Shingeru Egami, nel quale si affronta proprio la tematica mente-corpo:
"Il problema della mente è profondo. La sua elevazione ad uno stato superiore, l'allargamento e la purificazione di se stessi, sono le ultime cose da conseguire per mezzo della pratica. Si devono allenare mente e corpo, perché diversamente la pratica non ha senso. Tentando di pulire la vostra mente dalle impurità della vita quotidiana, per mezzo del contatto spirituale con gli altri. La mente ed il corpo sono simili a due ruote di un carro, nessuna delle due ha il predominio. Questa è la pratica autentica. Ottenere qualcosa di valore spirituale nella vita è vera pratica. Entrando in contatto fisico con gli altri, si entrerà anche in contatto spirituale. Nella vita quotidiana bisogna arrivare a conoscere le nostre relazioni con gli altri, come ognuno di noi influisca sugli altri e come le idee si possano scambiare. Si devono rispettare gli altri e pensare bene di loro. Le persone devono essere mentalmente aperte e rispettose del benessere e della felicità altrui. In un combattimento, quando riuscirete a trascendere dalla semplice pratica, riuscirete ad essere una cosa sola con il vostro avversario"

Egami incontrò il Mestro Funakoshi nel 1931 e divenne suo allievo.
E' stato uno dei personaggi fondamentali per la diffusione del karate in Giappone e, dopo la morte di Funakoshi, diventò uno dei maggiori punti di riferimento per lo Shotokan che lui stesso aveva contribuito ad elaborare. Per decenni si impegnò nello studio della tecnica; famose sono le sue dissertazioni circa l'efficacia dello tzuki: "Mi sono chiesto per molto tempo se i colpi frontali del Karate fossero veramente efficaci. Ho fatto di tutto, dallo spezzare tavole e tegole al rompere mattoni, ma nonostante queste operazioni fossero andate a buon fine, rimaneva il dubbio circa l'effetto prodotto dagli stessi colpi su un corpo umano". Giunse a conludere, fra le altre cose, che la concentrazione è un fatto peculiare, tanto come fatto mentale, quanto come fatto pratico, ovvero come capacità di riunire tutta la potenza in un unico punto di impatto.
Una delle preoccupazioni maggiori di Egami fu quella di seguire sempre i precetti di pace e genuinità insegnati da Funakoshi, perchè il karate doveva essere praticato come metodo della pace.

Nel 1980, Egami entrò in coma a seguito di una emorragia cerebrale e morì qualche mese dopo. Per tutta la vita aveva sofferto malanni fisici, ma la passione e la scintilla sempre viva lo avevano reso capace di proseguire nello studio del karate con estrema dedizione, trovando di volta in volta il modo di superare le sue debolezze fisiche scegliendo di praticare con metodi sempre nuovi, ma sempre orientati al raggiungimento dell'efficiacia, perchè il karate - come sosteneva Funakoshi - deve essere quello praticabile da tutti, che siano bambini, uomini, donne o anziani.

Ho pensato di scrivere qualche sommaria informazione su Shingeru Egami perchè ritengo la storia della sua vita estremamente interessante. Sicuramente da approfondire.